Disco d’oro, il quarto disco dei Nobraino

L’agonismo sul palco di una squadra di musicisti

Disco d’oro, il quarto disco dei Nobraino

Indie e rock in salsa romagnola

Nobraino - Disco d'oro

Si chiama Disco d’oro l’ultimo lavoro dei Nobraino, quarta fatica discografica del gruppo rock di Riccione in appena sei anni di attività.

E’ un disco già maturo, forte di una consolidata attività di palco che ha permesso alla band di raggiungere importanti traguardi quali l’esibizione come gruppo spalla di Roy Paci & Aretuska, Marta sui Tubi e Morgan, riconoscimenti e vittorie nei sondaggi di riviste specialistiche, partecipazione al Dopo San Remo e a trasmissioni televisive.

Quattro di nome ma cinque di fatto: oltre al classico quartetto rock (Lorenzo Kruger alla voce, Néstor Fabbri alle chitarre, Bartok al basso e Il Vix alla batteria) per questo lavoro si registra la presenza di David Jr. Barbatosta alla tromba e chitarra. Cinque elementi, come una squadra di pallacanestro; e proprio questa è l’origine della band, quattro giocatori di basket che nel 2006 smettono l’attività agonistica e decidono di dare una svolta musicale alle loro carriere.

Si sente l’affiatamento del campo di battaglia: il singolo componente si interseca perfettamente, con il suo operato, con la musica dell’altro, niente è casuale ma sincronizzato come i meccanismi di un orologio. Certo, spesso la musica è così, ma qui si intercetta l’intenzione di non abbandonare un riff o una melodia al puro autocompiacimento; tutto è funzionale, tutto alla fine deve fare cerchio.

Dodici tracce per quarantuno minuti di rock melodico, eppure a volte le melodie sembrerebbero trasversali e sperimentali (Il mio vicino), le ritmiche non sempre lineari, talvolta pervasive, altre volte dal sapore di ballata irish (Tradimentunz), oppure inseguono la metrica allentata dal testo (Bademeister). Tutto questo genera una musica travolgente e mai intuitiva, anche nelle versioni con la sola chitarra acustica per i teatri; c’è soprattutto quel che non ti aspetti.

Grande la forza poetica dei testi, mai banali e quasi sempre afferenti a una istanza mimetica della realtà. Narrazioni chiuse e autoconclusive, circolari come racconti brevi ma musicati. Storie fotografate in un particolare momento; l’incidente domestico con doppio senso di Cesso di vivere, il Record del mondo (“di chi sta più bene”), le pennellate impressioniste di Tradimentunz, la tesi antiguerra de Il mangiabandiere (“fate la guerra, ma con coscienza”). Tutto condito con grandi quantità di ironia su sé stessi e sul mondo. Perché, alla fine, bisogna non prendersi troppo sul serio: “da morto vorrei essere cremato, poi ci ho ripensato, e ho chiesto d’esser cioccolato”.

 24/03/2013 Federico De Carli