La musica dei mondi di Ludovico Einaudi

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Una porta dimensionale verso realtà ancestrali: o futuristiche

La musica dei mondi di Ludovico Einaudi

Il nuovo lavoro del musicista torinese a tre anni di distanza da “Nightbook”

Chissà come dovevano immaginare la musica dei corpi celesti nelle loro rivoluzioni astrali i teorici di molti secoli fa, quando Boezio parlò per la prima volta di musica mundana. Musica basata sul numero e ordinata secondo regole – diremmo oggi – scientifiche, matematiche.

E’ questa la prima domanda che ci si potrebbe porre ascoltando In a time lapse, brano eponimo dell’ultimo lavoro di Ludovico Einaudi. L’impressione è quella di sentirli davvero, i movimenti delle sfere universali all’interno del loro spazio. Musica creata dal movimento e che crea dunque movimento, circolare, parte da sé e su sé stessa torna.

Il ricorso al numero come struttura portante non è casuale: spesso si tratta di cellule minimali che diventano veri e propri spunti tematici, e quindi ricorrenti con sempre nuove elaborazioni e aggiunte, fino a diventare organismi completi. Come in un frattale: così in piccolo, così in grande. Non succede mai molto, si potrebbe obiettare: solo lo stretto necessario, si evita il superfluo, come ai tempi della Creazione. E anche qui la musica si crea da sé.

Siamo dunque ben lontani dalla forma canzone; non c’è il testo a enunciare il messaggio, qui la comunicazione è spesso affidata più al silenzio, alle pause dilatate fra una nota e l’altra. Il tempo si annulla, forse ci troviamo davvero un attimo prima che l’Universo abbia inizio; la musica dell’innatismo, l’abbiamo dentro senza sapere come, e quando l’ascoltiamo ci sembra ovvio di conoscerla, e riconoscerla.

A volte sembra di ascoltare la traduzione di una struttura poetica, con suoni extradiegetici e digitali: la costruzione armonica è concentrata in un ambito ristretto, e forse questo aiuta il cammino. Non ci sono strade precostituite da seguire; è libero susseguirsi di passi.

Una musica che è quindi condivisione, è una passeggiata con gli amici senza la mediazione della ragione che ci farebbe chiedere il perché del passeggiare; una musica peripatetica, per così dire. Definiamola pure minimalista, ma non alla Philip Glass o alla Michael Nyman, riferiamoci piuttosto al minimalismo figurativo: tessuto essenziale e scarno, pochi e ricorrenti elementi.

Spesso la melodia è invariata mentre è la linea del basso a creare il movimento armonico: come quando crediamo di stare fermi sul nostro pianeta e in realtà è il mondo circostante a ruotare (Discovery at nightRun). Altre volte invece la melodia ricorda i paesaggi della musica new-age, ma non è quasi mai descrittiva. Anzi, Two trees farebbe immaginare qualcosa di statico nel suo titolo, e invece è il brano dove forse la melodia è maggiormente mobile, verrebbe da pensare più propriamente a due uccelli in traiettoria radente, o due api che si fermano e poi ripartono.

Brother è il brano dall’atmosfera più rarefatta: è l’alba. Poi qualcosa galoppa (è il sole?). Archi ruvidi a volo d’uccello scandiscono il cambiamento, un arpeggio zampilla incalzante, qualcosa sopraggiunge a battere i quarti. Inizia un crescendo stratificato, il giorno si è fatto, e il pianoforte riverbera quando si ferma la corsa.

Run arriva in punta di piedi. Ancora l’arpeggio fisso con basso mobile, e la melodia a incastrarsi in tutto questo. Risuona in lontananza un canone alla Pachelbel, o il barocco di Händel. La chiusura è circolare, ma non si arriva a una definitiva risoluzione.
Interessante la struttura di Experience: qui la melodia alta fa da bordone a quella intermedia. Archi omoritmici e omofonici aspettano un violino che raddoppi il tutto, un ritmo batte i quarti. Sembra di essere in un film in bianconero di Bela Tarr.

Un concept album? Forse sì, un intervallo di tempo che va dal primo istante del mondo fino al suo ultimo battito vitale. E così, come conclusione logica Life accompagna questo cammino: campanellini e arpeggio di carillon, sembra di essere in una culla. La melodia, per una volta, sarebbe addirittura cantabile, quasi una ninna-nanna, ma un violino la trasforma e la porta a un galoppo orchestrale, poi a una giga di archi con pianoforte minimale. Chiusura circolare, ancora carillon e campanellini. E la luce sia.

22/02/2013  Federico De Carli

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