Odeon, l’ultimo lavoro dei Tosca

E’ uscito il 4 febbraio Odeon, l’ultimo lavoro dei Tosca

L’Odeon elettronico di Dorfmeister e Huber

Il duo austriaco torna quattro anni dopo No Hassle

Immaginiamo di essere a Ibiza, prime luci dell’alba, dopo una nottata trascorsa in una discoteca all’insegna della musica, dei fumi dell’alcool e di altra natura. La mente vacilla, ma il sonno ovviamente non c’è più. Le orecchie, spaventate da un possibile horror vacui, rifiutano il silenzio.
E’ in questo contesto che nacque vent’anni fa la musica downtempo, con l’intento di rilassare l’animo ancor battagliero ma esausto dei combattenti della notte.
Musica elettronica, si dirà; lontana parente (o forse soltanto vicina di casa) della musica elettronica colta, quella di Nono, Berio, Maderna, Stockhausen, per intenderci. Dovendo dunque – operazione sempre dolorosa – inscatolare questa musica in un genere, si finirà per mettere sulla scatola l’etichetta “elettronica”, perché comunque sfrutta e si autogenera a partire da un elaboratore di segnali elettrici (un computer) e poi “downbeat”, downtempo appunto, perché non esiste in essa, o non sempre almeno, una precisa scansione ritmica come si è soliti percepire.
Così, dopo quattro anni di assenza (No Hassle è del 2009), lo scorso 4 febbraio è uscito Odeon, nuovo lavoro dei Tosca, ovvero il duo composto dagli austriaci Richard Dorfmeister e Rupert Huber. Il background culturale dei due partiva dalla musica prodotta con con registratori e sonorità tipiche della musica indiana. Rispetto ai lavori precedenti, quest’ultimo lascia maggior spazio ai testi, spesso poetici, che potrebbero far ricordare alcune liriche dei Depeche Mode.
Dovendo cercare una sola parola per descrivere Odeon, questa potrebbe essere “rarefazione”; la descrizione dei paesaggi sonori sembra passare per vere e proprie stanze musicali, a volte attraverso visioni oniriche, sempre mantenendo la massima cura nei dettagli. Questa rarefazione non si limita alla sottrazione di suoni a scapito di altri; è da intendere, come fece persino Debussy ne La Cathédrale Englutie, di cent’anni precedente, come sintesi sottrattiva e processo di accumulazione.
La registrazione è accurata; a volte sembra ovvio il ricorso alla musica concreta, come il rumore del mare o i gabbiani “sintetici” (What if), senza però cadere nella musica descrittiva. Leitmotiv di Odeon può essere trovato nella proposizione e riproposizione di cellule minimaliste, ma mai uguali a sé stesse, sempre variate da nuove aggiunte (Heatwave, Jay Jay e Soda). La ritmica spesso si affida solamente a quella naturale prodotta da echi e riverberi, tranne in Cavallo dove la (ovviamente) galoppante scansione riporta a standard più abituali, e in In My Brain Prinz Eugen, brano tipico dell’elettronica teutonica. Testo e voci, come detto, assumono valenza nuova: dalla calda voce femminile di What if agli inconsueti intervalli di Jay Jay, dal testo in portoghese di Stuttgart alle voci fuori campo di Bonjour.
Per gustare Odeon, comunque, non è indispensabile Ibiza, la discoteca e tutto il resto; può essere sufficiente il divano di casa.

07/02/2013  Federico De Carli

Tosca - Odeon|

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