Sulla cresta della modernità

The unraveller of angels degli Attrition

Ancora moderni dopo trent’anni di attività

Attrition - The unraveller of angels

 Attrition è una band inglese attiva da più di un trentennio nella scena elettro-dark e sperimentale. Dal lontano 1980, anno in cui Martin Bowes ne creò a Coventry la componente base, ha prodotto circa una trentina di album, di cui la metà in studio, cavalcando sempre l’onda della modernità e divenendo più band di riferimento che di continuazione.

Musica elettronica e sperimentale, quella degli Attrition. L’ultimo lavoro è The unraveller of angels, che propone una commistione di suoni ambient e dark, insinuanti e drammatici, quasi da colonna sonora per una ghost story. Gli ambienti tenebrosi permeano l’intero album con poche eccezioni, l’elettronica “classica” si fonde e confonde con quella più industrial.

Ritmica spesso incalzante e compulsiva, ma non sempre. A volte si sfiora l’istanza minimalista della ripetizione incondizionata, che di frequente sconfina nella claustrofobia di un suono che non si sposta più dalla mattonella sulla quale ha posato i piedi, come se non volesse uscire dallo sgabuzzino delle scope. Non per paura, ma per la necessità di cercare e trovare nella ricorsività la scintilla creatrice delle sensazioni, minacciose e indefinite, utili al raggiungimento delle emozioni ripiegate nel profondo dell’animo umano.

Ospiti di assoluta rilevanza, come Matt Howden, Annie Hogan, Erica Mulkey (Unwoman) portano alla creazione di un disco ricercato nei suoi dettagli; grande il lavoro di postproduzione che pur deve spaziare in un ambito ristretto di competenze.

La voce maschile (Bowes) è quasi sempre sussurrata, atonale, sostenuta dai cori femminili che ne ispessiscono la presenza, e contribuisce alla creazione dell’ambiente di riferimento: da quella “off” di The Unraveller a quella evocativa di Snakepit. In One horse rider quella maschile annuncia, quella femminile risponde dal suo spazio oscuro e sospirante. In Histrionic! la voce è quasi la duplicazione del violino etereo e spooky, si fa lamentosa quasi da musica elettrocolta e a tratti operistica, segno tangibile di una tessitura complessa.

Il basso tende alla continuità o alla nota ripetuta incessantemente, ma questo è tipico e necessario nell’istanza ipnotico-drammatica. Così in Narcissist è minimale e ricorsivo, con brevi riff in loop, supportato da una massa pseudosinfonica che si evolve in crescendo per tornare puntualmente alle movenze iniziali.

Una continua altalena di emozioni. In Karma mechanic il basso contribuisce invece alla creazione di una serie di episodi ricorrenti, minimali, quasi da soundtrack di una fuga, o di una missione impossibile.

A spruzzare un leggero sapore neoclassico concorre poi il piano acustico (almeno nelle intenzioni) di The Unraveller, aereo e spaziale, e di Hollow latitudes, dove con gli archi, anch’essi molto classici, sinergicamente crea i tratti più malinconici e cupi dell’intero lavoro.

Talvolta compare una chitarra, distorta, come in Narcissist, che però ha unicamente ruolo di bridge per creare uno stacco alla ritmica incalzante; finita la sua funzione, tutto torna al traffico frenetico di una tangenziale in orario di deflusso massivo.

Le ambientazioni, come detto, oscillano fra il gotico e il drammatico, trascolorando in tutte le gradazioni intermedie; dai suoni cigolanti e tetri di Suicide engineer ai melismi claustrofobici di The casual agent, e ancora ai suoni elettroclassici e industriali di The internal narrator, dove le locazioni spettrali generano presenze fantasmagoriche osmoticamente confuse.

Tutto questo senza mai ingenerare sensazioni di noia: e se dalla ricorsività si riesce a non scadere nella mera ripetizione, vuol dire che siamo davanti a un lavoro di grande talento.

 2013/7/12  Federico De Carli

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